Il dolore è un concetto incredibilmente complesso e non è direttamente proporzionale al danno presente.
Definizione dolore
Secondo la definizione dell’International Association for Study of Pain (IASP) del 1994 il dolore viene definito come “una esperienza emozionale e sensoriale spiacevole associata a un danno tissutale acuto o potenziale, o descritto in tali termini”.
Il dolore, da un punto di vista meramente terminologico e temporale, si distingue in due grandi categorie: acuto e cronico.
Il dolore acuto, per convenzione, presenta un’insorgenza e una remissione in un arco temporale di massimo 12 settimane, mentre il dolore cronico è definito come il dolore che persiste oltre questo periodo.
Queste ultime definizioni, tuttavia, non sono completamente vere. Infatti, la cronicità del dolore non deve essere considerata esclusivamente come un’estensione temporale del dolore acuto, bensì come una risposta da maladattamento nella quale si instaurano delle modificazioni dei meccanismi neurofisiologici della percezione, elaborazione e trasmissione degli stimoli dolorosi alla base di un circolo vizioso che si autoalimenta.
Cosa dice la scienza
Infatti, nella letteratura scientifica, a partire dagli anni 2000, si è assistito a un radicale cambiamento nella visione del dolore, orientandosi verso una concezione secondo cui processi motivazionali, affettivi e cognitivi del paziente potessero modulare il dolore e potessero, talvolta, essere un importante fattore contribuente nella genesi del dolore stesso.
A differenza di quello che la maggior parte delle persone crede la riacutizzazione di un dolore, nella maggioranza dei casi, non costituisce un peggioramento della patologia cronica.
Infatti è possibile:
- Avere una lesione senza provare dolore: se prendessimo 100 persone senza mal di schiena ed eseguissimo una risonanza vedremmo in tutti una qualche alterazione strutturale.
- Provare dolore senza avere una lesione: basti pensare all’emicrania, dove nella maggior parte dei casi non vi è un danno.
- Provare dolore senza avere la parte del corpo interessata: ad esempio nella sindrome dell’arto fantasma
È fondamentale comprendere come il dolore sia dato da un insieme di fattori (umore, livello di ormoni, stress…) e non solo, quindi, dalla presenza di un danno tissutale.
Un esempio banale per comprendere questo concetto può essere fatto prendendo come spunto un taglio superficiale fatto da un foglio di carta.
Quando succede questo evento avvertiamo un dolore molto intenso e fastidio, se al contrario di come detto sopra ad ogni sensazione dolorosa fosse associata una lesione direttamente proporzionale dovremmo avere una lacerazione quasi completa del dito, cosa che chiaramente non c’è.
È fondamentale risottolineare, inoltre, il ruolo importantissimo che il cervello ha nella genesi e nel mantenimento del dolore, il quale terrà conto delle esperienze passate del soggetto (personali e non) e delle credenze che lo stesso ha a riguardo della sua condizione.
La riabilitazione
In un percorso riabilitativo che si rispetti, specialmente di una patologia cronica, è di vitale importanza cogliere questi aspetti per poter gestire al meglio il dolore e la prognosi futura.
È stato dimostrato come l’educazione della persona alla sua problematica e alla gestione del dolore determini un miglioramento delle condizioni di vita ed a una riduzione della sensazione di disabilità percepita.
A volte però la sola fisioterapia potrebbe non bastare nella gestione di questa tipologia di pazienti.
In questo caso potrebbe essere di vitale importanza l’intervento di una figura sanitaria preposta, come lo/a psicologo/a, che attraverso un trattamento cognitivo-comportamentale potrebbe favorire la guarigione, andando a lavorare sulle paure più profonde della persona.
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